Nadine Gordimer nasce nel 1923 a Springs, una piccola cittadina mineraria vicino Johannesburg, nella provincia sudafricana del Transvaal.
Entrambi i suoi genitori sono immigrati ebrei: il padre è un gioielliere lituano, la madre ha origine inglese.
Dopo aver ricevuto un’educazione di stampo religioso, si iscrive all’Università di Witwatersrand a Johannesburg, dove studia per un anno.
È proprio nell’ambiente universitario, dopo aver toccato con mano le disparità esistenti tra studenti neri e bianchi, che matura il suo impegno contro l’apartheid. Entra in contatto con l’African National Congress (Anc) di Nelson Mandela. L’impegno politico contro il pregiudizio razziale e il lavoro di scrittrice procedono parallelamente. Alcuni dei suoi libri sono stati proibiti in Sud Africa. Nel 1987 è tra i fondatori del Congress of South African Writers, un’associazione di scrittori nata per promuovere la letteratura tra le comunità più svantaggiate.
Il legame tra Nadine Gordimer e la scrittura arriva da lontano. Fin da piccola, la madre la incoraggia a leggere e a scrivere.
A soli 15 anni pubblica su un periodico sudafricano il suo primo racconto, The Quest for Seen Gold. Del 1949 è invece la sua prima collezione di racconti, intitolata Face to Face (Faccia a faccia). Quattro anni dopo, arriva The Lying Days (I giorni della menzogna), il primo romanzo, in cui la scrittrice descrive il nascente movimento anti-apartheid di una piccola cittadina sudafricana.
Fin dalla metà degli anni Settanta, la sua tecnica narrativa si fa più complessa. Con Ospite d’onore (1971) e soprattutto con Il conservatore (1972) “Booker Prize” nel 1974, inizia a maturare un linguaggio più autenticamente africano, che vuole superare le barriere fra neri e afrikaner. In questi romanzi, come anche nei successivi – La figlia di Burger (1979) e Luglio (1981) – Nadine Gordimer mostra un difficile contesto sociale e politico attraverso le storie e le prospettive particolari dei suoi personaggi. In Luglio i drammatici scontri di Soweto, avvenuti nel 1976 tra studenti di colore e polizia, rimangono sullo sfondo, mentre la narrazione si concentra sugli Smales, una famiglia bianca costretta alla fuga.
Anche dopo il 1994, anno in cui l’Anc vince le elezioni politiche e Nelson Mandela è eletto presidente del Sud Africa, la scrittrice africana non abbandona i temi razziali. Un’arma in casa (1998) ha come protagonista un omicida bianco difeso da un avvocato di colore. Nel suo ultimo romanzo, Sveglia! (2005) alle riflessioni sulla nuova povertà del Sud Africa post-apartheid s’intrecciano quelle su altre questioni contemporanee, come la salvaguardia della natura e il progresso economico, la lotta contro l’Aids e la complessità delle relazioni umane.
Oltre all’attività narrativa svolge un intensa attività giornalistica e di saggista. In questo ambito in Italia sono usciti: Vivere nella speranza e nella storia, Scrivere ed essere e Vivere nell’interregno.
Per la sua opera ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti tra i quali il Booker Prize (1974), il Grinzane Cavour (1985 e 2006), il premio Carlo Levi (2002). Nel 1991 è stata insignita del Premio Nobel per la Letteratura.
Da molti anni inoltre ricopre la carica di Goodwill Ambassador delle Nazioni Unite.
Vive e lavora a Johannesburg.
Nel sito Feltrinelli schede, bibliografia, interviste e altro su Nadine Gordimer.