Calendario

Mostre

WILLIAM KLEIN – CONTACTS

FOTOGRAMMI DALLA CITTÀ ELOQUENTE
Inaugurazione della mostra fotografica
presentazione di Giancarlo Pauletto
interviene William Klein

Le fotografie di William Klein hanno un’intensa capacità di comunicare l’evento, il dato immediato, “l’esserci”.
In esse si rappresentano attimi di vita cittadina che sembrano, proprio per la successione dei fotogrammi, inseguire l’accadere nella sua irrecuperabile e indistinguibile molteplicità, qui tutto è contemporaneo, tutto accade nello stesso momento in ogni parte del mondo.
Sia Auster che Klein sono interessati a questa umanità metropolitana, per entrambi essa è un “problema”, un complesso soggetto d’indagine con storie e destini da raccontare.

 

 

Fotogrammi dalla città eloquente
(Dalla presentazione della mostra)

I “Contacts” di William Klein rimandano evidentemente al dato tecnico sotteso dal termine: sappiamo che i cosiddetti “provini” si ottengono appunto attraverso il “contatto” diretto del negativo con la carta da stampa, e servono, nella normale pratica fotografica, ad una prima selezione del materiale e ad una prima identificazione delle scelte in base alle quali il lavoro del fotografo proseguirà.
Se poi il fotografo medesimo sceglie di mantenere l’andatura del “provino a contatto” anche per il lavoro finito – nel caso di Klein queste grandi stampe sulle quali egli interviene con smalti a vividi colori – sarà perché ciò è per lui ricco di implicazioni significanti, come dimostra ulteriormente il fatto che il termine – “contacts”, appunto – è diventato anche titolo di una intera mostra.
Al di là del senso tecnico, infatti, la parola “contatti” possiede – anzi, ha prima di tutto – un senso legato alla vita sociale, significa rapporti, incontri, attimi di attenzione, può inoltre riferirsi, sul versante psicologico, a un momento di sensibilità, di trasalimento, di interrogazione: è insomma un termine che include moltissime esperienze umane nel momento in cui iniziano – e magari anche finiscono –; nel momento in cui tra noi e il mondo si stabilisce un qualche rapporto identificabile, non semplicemente inconscio.
E il luogo per eccellenza di questi “contatti” è, naturalmente, la città. La città dove la vita va veloce, dove gli scenari cambiano, dove sembra che acquisti più senso e più peso il vivere umano in quanto vivere di relazione, di incontri e scontri che possono introdurre improvvise contraddizioni e improvvisi mutamenti nella vita di tutti.
Questo hanno i fotogrammi di William Klein, un’intensa capacità di comunicare l’evento, il dato immediato, il “qui e ora” istantaneo che costituisce, in certo modo, tutta la nostra esistenza.
Se questo si vuol raccontare, allora è necessario che gli scatti non diano il senso della formalizzazione, siano presi come in corsa, apparentemente a caso: ma naturalmente il fotografo sa bene che ogni inquadratura immette un brano di realtà in un rettangolo necessario, e che sotto tutta questa casualità, temporalità, istantaneità è possibile ravvisare un atteggiamento, che andrà decodificato da chi guarda.
È anche ovvio che in questo contesto la datazione delle opere non è molto importante per la lettura e che, nel caso appunto di una mostra, l’accostamento delle immagini può seguire altri criteri che quelli cronologici: che si tratti del 1955 a New York o del 1992 a Parigi, nulla cambia ai fini di questa emergenza dell’evento, che nell’una come nell’altra circostanza è quello che conta.
Da ciò alcune caratteristiche di queste immagini: l’evidenziarsi di particolari in primo e primissimo piano – la mano, la striscia pedonale, la margherita sulla giacca, il torace dei culturisti, le decorazioni argentee sul costume del torero, i colombi in volo e via elencando – ; il fatto che si tratti, praticamente senza eccezioni, di immagini in movimento – cortei studenteschi, manifestazioni politiche, eventi sportivi, Gay Pride, danzatori, gente che cammina, insomma sempre situazioni in atto; il fatto che quasi non ci siano pose, mentre qualche rarissima non ha la caratteristica del ritratto, ma piuttosto quella dell’ironia – cioè di un movimento che, allora, sta nel soggetto invece che nell’oggetto, vedi “Americans” o “Club Allegro Fortissimo”; e ancora il fatto, banale ma definitivo, che non si vede campagna, né montagna, né mare, insomma niente “natura”: la quale fermerebbe lo sguardo e il movimento e costringerebbe comunque ad una sorta di contemplazione.
Sembra dunque, quello di Klein, un occhio atteggiato in una sorta di superiore impassibilità, un occhio “indifferente” che specchia in sé, come uno stagno o un lago, tutto ciò che dalle rive si riflette.
Ma interviene l’elemento pittorico, a mutare in profondità la situazione. Sono ampi gesti cromatici – di un cromatismo timbrico, comunque vivido anche se il colore prescelto non sia il rosso o il giallo, ma per esempio il nero, il bianco o il viola – che hanno, mi pare, un duplice valore, di segnale e di struttura.
Segnale in quanto indica, circoscrive, intenziona: insomma, cattura lo sguardo, ma non per riferirlo a se stesso, bensì all’immagine fotografica attorno e in funzione della quale si struttura.
Si struttura coinvolgendola in una sorta di rete, di gabbia, in una “forma” che calcola ed equilibra spazi e finisce per dare, a quella che abbiamo definito la “temporalità”, l’ “istantaneità”, insomma l’ “esserci” dell’immagine, una consistenza complessivamente forte e definitiva.
Sicché ci troviamo di fronte al paradosso di una fotografia d’ “istanti” che viene bloccata non – simbolicamente o metafisicamente – al suo interno, ma con un esplicito ed evidentissimo intervento esterno, la banda cromatica, la “cornice” che chiude e ferma lo scorrere del tempo.

 

Che significato dare a questa operazione?
Io credo che essa valga ad affermare che è il soggetto, la sua azione, il suo decidere ad attribuire senso al flusso della realtà.
Si tratta di una posizione certo problematica e rischiosa, ma anche pienamente responsabilizzante: nessuno che sia in questa posizione potrà infatti giustificarsi affermando, come molti hanno fatto e fanno, di aver “obbedito agli ordini”.
Se a questo punto il lettore si dovesse chiedere quale sia il rapporto tra questa mostra di William Klein e la presenza a Pordenone dello scrittore Paul Auster per “Dedica 2009”, io credo che si possa rispondere con due brevissime citazioni tratte dalla celeberrima Trilogia di New York, più precisamente dal terzo dei racconti, La stanza chiusa: “A conti fatti, la vita si riduce ad una somma di incontri fortuiti, di coincidenze, di fatti casuali che non rivelano altro che la loro mancanza di scopo”. E, qualche pagina dopo: “Ogni vita è inspiegabile… Per quanti fatti si riferiscano, per quanti dettagli vengano forniti, il nocciolo resiste alla rappresentazione”.
Si potrebbero citare molte altre frasi, o riassumere brani interi del libro per testimoniare che anche quello di Auster è un interesse vivissimo all’accadere, all’imponderabilità degli eventi che finiscono per “fare” la vita di ognuno, senza che attorno a questo “fare” si possa chiudere una ricerca razionale. Il senso del narrare allora si identifica con la scelta dello scrittore, con la sequenza delle situazioni che egli decide di mettere in scena: la “trama” di Auster, la sua “sequenza” viene così a coincidere, secondo questa lettura, con le bande cromatiche, le “cornici” con cui Klein “intenziona” la provvisorietà, la mobilità, insomma la “temporalità” delle sue immagini fotografiche.
In ciò una sostanziale affinità dei due autori mi sembra evidente.

 

Giancarlo Pauletto


 

William Klein
fotografo, pittore, cineasta newyorkese, studia pittura a Parigi, collabora con Mangiarotti, Gio Ponti e Zanuso. Nel 1954 realizza un caustico diario fotografico di New York che, pubblicato con il titolo Life is good and good for you New York, lo rende famoso in tutto il mondo. Da quest’idea nascono gli importanti lavori sulle città: Roma (1956), Mosca (1961), Tokyo (1962). Affascinato dal cinema, collabora con Fellini e realizza Broadway by light, considerato il primo Pop movie. Autore di film, documentari e di numerosi libri, ha ricevuto importanti premi e riconoscimenti. I suoi lavori sono esposti nei principali musei e gallerie in tutto il mondo.

 

Giancarlo Pauletto
critico e storico dell’arte, autore di diverse pubblicazioni, collabora nel settore arti visive del Centro Iniziative Culturali Pordenone. Ha curato, per il Museo Civico della città e per numerosi altri enti pubblici, mostre, cataloghi e monografie.


sabato 28 Marzo, 17:30

Galleria Sagittaria

Pordenone - Via Concordia, 7